Come spesso avviene nelle reazioni chimiche, anche nel linguaggio le parole composte derivanti dall’unione di due termini possono dar luogo a significati completamente nuovi e molto più ampi rispetto a quelli implicitamente contenuti nelle componenti iniziali, secondo una visione che potremmo definire olistica. E’ quanto avviene con il termine “ARCHEOREALISMO”, coniato dall’artista Evan De Vilde ; l’idea base è quella di reperire oggetti del passato di varia natura, sia manufatti archeologici che antichi fossili o pergamene provenienti da ogni parte del mondo, ed inserire gli stessi in strutture moderne, ottenendo in tal modo suggestive realizzazioni artistiche; questa non vuole semplicemente essere la definizione per connotare in qualche modo una nuova corrente artistica, ma una vera e propria visione innovativa della realtà, con implicazioni di carattere filosofico, storico, psicologico, fisico-matematico, sociologico ed artistico. Da un punto di vista filosofico c’è un tentativo da parte di De Vilde, di spezzare e superare il concetto di circolarità insito nell’Ermenutica, così come viene formulato H.G. Gadamer, (Il circolo ermeneutico), pur rimanendo formalmente e sostanzialmente all’interno di un processo di ricerca gnoseologico più che ontologico in senso stretto. Ciò è reso possibile da quello che è un vero e proprio atto d’amore verso la materia da parte dell’artista che lascia assolutamente integri i reperti archeologici utilizzati, e dalla profonda convinzione del valore educativo- didattico del lavoro svolto, ritenendo un diritto dovere quello di un recupero della memoria rendendo intellettualmente leggibile ciò che altrimenti era condannato ad un colpevole oblio; non posso fare a meno di riandare con la mente alla lettura di Proust, quando dice ( cito testualmente), : “bisognava cercare di interpretare le sensazioni come segni di altrettante leggi ed idee, tentando di far uscire dalla penombra quel che avevo sentito, di convertirlo in un equivalente intellettuale”
Antonio Geirola
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